Obiettivi formativi
L’Istruzione Donum vitae espone in termini molto chiari l’insegnamento ecclesiale sulla materia: la diagnosi prenatale è moralmente lecita se rispetta la vita e l’integrità dell’embrione e del feto umano ed è orientata alla sua salvaguardia o alla sua guarigione individuale. Si riconosce così che di per sé la <br />
diagnosi prenatale non è indirizzata univocamente all’aborto volontario, perché su alcune malattie genetiche — poche in realtà — si può intervenire con successo, così come è possibile realizzare sul feto altri interventi medici e chirurgici. Naturalmente, dato che alcune delle tecniche diagnostiche sono <br />
molto invasive e comportano certi rischi, il loro uso deve essere giustificato dai dati che emergono dalla consulenza genetica o dallo studio degli antecedenti della coppia.Chiamiamo diagnosi prenatale un insieme di tecniche (ecografia, fetoscopia, placentocentesi, prelievo dei villi coriali, ammiocentesi) che permettono di conoscere l’eventuale presenza di malformazioni o di malattie genetiche nel feto. Si tratta quindi di una tecnica diagnostica, che di per sé fornisce semplicemente una conoscenza sullo stato del feto. Essa diventa eticamente <br />
problematica a causa della diffusione attuale della mentalità abortista e di certe idee sulla qualità della vita, per le quali è frequente che a una diagnosi infausta segua l’aborto volontario. L’operatore sanitario consapevole che ogni essere umano vivo ha diritto alla vita, indipendentemente del suo stato di salute, <br />
può procedere alla diagnosi prenatale qualora sapesse che a una diagnosi infausta seguirà l’aborto? Diversamente stanno le cose se si agisce in un contesto di mancanza di rispetto alla vita. L’Istr. Donum vitae afferma, infatti, che la diagnosi prenatale <br />
«è gravemente in contrasto con la legge morale quando contempla l’eventualità, in dipendenza dai risultati, di provocare un aborto: una diagnosi attestante l’esistenza di una malformazione o di una malattia ereditaria non deve equivalere a una sentenza di morte»6. Pertanto agiscono male la donna <br />
che richiede la diagnosi con il proposito di abortire in caso di diagnosi infausta e il coniuge o i parenti che consigliassero o imponessero la diagnosi alla gestante con lo stesso intendimento. «Cosi pure — aggiunge Donum vitae — <br />
sarebbe responsabile di illecita collaborazione lo specialista che nel condurre la diagnosi e nel comunicarne l’esito contribuisse volutamente a stabilire o favorire il collegamento tra diagnosi prenatale e aborto. Si deve infine condannare, come violazione del diritto alla vita nei confronti del nascituro e come <br />
prevaricazione sui diritti e doveri prioritari dei coniugi, una direttiva o un programma delle autorità civili e sanitarie o di organizzazioni scientifiche che, in qualsiasi modo, favorisse la connessione tra diagnosi prenatale e aborto oppure addirittura inducesse le donne gestanti a sottoporsi alla diagnosi <br />
prenatale pianificata allo scopo di eliminare i feti affetti o portatori di malformazioni o malattie ereditarie». <br />
Contenuti dell'insegnamento
L’iniziale assunzione dell’utilità dell’ecografia come strumento di screening nelle gravidanze a basso rischio è risultata ottimistica, in particolare per quanto riguarda esiti concreti (hard) come la mortalità e la morbosità perinatale. Sono risultate anche sottovalutate le conseguenze della destinazione delle risorse disponibili e le conseguenze psicologiche e sociali a breve ed a lungo termine per i singoli e per la società . La ecografia ostetrica, in assenza di fattori di rischio, non può essere raccomandata con l'obiettivo di diminuire la mortalità e morbosità perinatale e materna. Nella maggior parte delle linee guida pubblicate fino al 2003, nelle gravidanze a basso rischio l'ecografia del primo trimestre è indicata in condizioni circoscritte : - per la datazione della gravidanza quando l'ultima mestruazione è incerta o l'epoca di amenorrea non coincide con l'esame obiettivo (la datazione eseguita in questa epoca presenta una accuratezza di +/- sette giorni); - per confermare il sospetto di una gravidanza ectopica, di una mola idatiforme o di una massa pelvica; - in caso di sospetto aborto; - prima di un intervento chirurgico (es. interruzione di gravidanza o posizionamento di cerchiaggio cervicale); <br />
- durante una procedura diagnostica invasiva (prelievo di villi coriali, amniocentesi, riduzione selettiva di gravidanza plurima); - per effettuare la misurazione della translucenza nucale, ma solo nell'ambito di un organizzato programma di screening della sindrome di Down comprendente counselling genetico e appropriati controlli di qualità. Il Servizio sanitario inglese e il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) raccomandano invece l'esecuzione in gravidanza di due ecografie di routine entro la 24a settimana . Anche il Servizio sanitario scozzese, nel suo rapporto di Technology assessment pubblicato nel 2004, valuta questo programma di screening come il più efficace per identificare anomalie fetali . <br />
L'ecografia del primo trimestre andrebbe eseguita a 10-13 settimane di gestazione per: - verificare la vitalità dell'embrione; - stimare l'esatta epoca gestazionale; <br />
- stabilire il numero dei feti e, in caso di gravidanza plurima, la corionicità/amnionicità; - evidenziare le malformazioni maggiori, ad espressione precoce; - effettuare, quando possibile, la misurazione della translucenza nucale, da associare sempre ai marcatori sierologici del primo trimestre (test combinato); <br />
La datazione della gravidanza andrebbe effettuata tramite la misurazione della lunghezza vertice-sacro (crown rump lenght, CRL) fino alla 13a settimana e quella del diametro biparietale e/o della circonferenza cranica se oltre. La sua valutazione riduce la frequenza di induzioni del travaglio per gravidanze ritenute erroneamente oltre il termine. Nel Regno Unito l'ecografia del primo trimestre rientra nei programmi di screening della sindrome di Down, offerti a tutte le donne indipendentemente dall'età, per effettuare la misurazione della translucenza nucale, ma anche, in caso si adotti un test sierologico, per la precisa valutazione dell' epoca gestazionale con conseguente aumento di efficacia del test (in questo caso è consigliata a 8-12 settimane, visto che l'accuratezza della stima ecografica dell’età gestazionale risulta inversamente proporzionale all’epoca di amenorrea) <br />
Agenzie governative, università ed associazioni professionali hanno prodotto linee-guida o raccomandazioni sull’utilizzo dell’ecografia nel secondo trimestre di gravidanza. I diversi documenti concordano su numerosi punti. <br />
Una ecografia di routine dalla 18.a alla 22.a settimane di e.g. incrementa la frequenza con la quale vengono riconosciute prima della nascita le malformazioni fetali maggiori, presenti nel 2-3% di tutti i nati. Un maggior numero di genitori possono avere quindi l’opportunità di ricevere un counselling precoce, con la possibilità di interrompere eventualmente la gravidanza. <br />
Viene riportato un tasso di diagnosi falsamente positiva di malformazione fetale di 0.2-1.0 /1.000 gravide sottopostesi ad ecografia. La maggior parte di questi risultati falsamente positivi vengono corretti nella successiva valutazione ecografica. <br />
Una revisione sistematica dell’efficacia clinica dell’ecografia in gravidanza [1] ha preso in esame – fra l’altro - lo screening delle anomalie congenite fetali. Gli studi inclusi, condotti fra il 1991 ed il 1998, hanno registrato una prevalenza di anomalie fetali compresa fra 0.76% e 2.45%. Questa differenza può essere spiegata tanto da una scadente qualità degli accertamenti postnatali quanto riflettere una reale differenza fra le popolazioni studiate. <br />
In questa revisione la sensibilità dell’ecografia è 44.7%, compresa fra 15.0% e 85.3%, A determinare un intervallo così ampio possono aver contribuito il tipo di anomalie, l’età gestazionale al momento dell’esame, l’abilità dell’esaminatore, la modalità nella quale viene eseguito l’esame, la qualità dello strumento (dell’equipaggiamento) utilizzato. Inoltre, la definizione delle anomalie può variare fra i diversi studi e, se la qualità degli accertamenti postnatali è scadente, la prestazione dell’ecografia nel diagnosticare le anomalie congenite può essere sovrastimata. Gli studi nei quali viene conteggiato il numero delle anomalie piuttosto che il numero di feti affetti tendono a sovrastimare la sensibilità. Questo è il dato rilevato nello studio che ha registrato la sensibilità più elevata (85.3%). Anche la frequenza con la quale le diverse anomalie congenite vengono diagnosticate varia considerevolmente. I tassi di diagnosi per i diversi distretti anatomici sono: sistema nervoso centrale 76.4%, apparato urinario 67.3%, respiratorio 50.0%, gastrointestinale 41.9%, scheletrico 26.1%, cardiaco 26.1%.• <br />
E’ importante, in assenza di fattori di rischio, informare chiaramente la donna che l'ecografia proposta ha quale obiettivo principale lo screening di anomale fetali; è indispensabile precisare le possibilità reali di diagnosi e i limiti dell'esame. • <br />
La qualità delle informazioni relative alle conseguenze dell'esame, e l'opportunità di rifiutarlo, dovrebbe essere migliorata, in particolare allorché si valuta l'anatomia fetale. E' importante porre attenzione al sostegno della coppia allorché si ponga diagnosi di anomalie fetali o si comunichi un risultato anormale dell'esame. <br />
E’ necessaria una formazione medica permanente, per i professionisti dei servizi sanitari, sia per quanto riguarda l'ultrasonografia ostetrica che per il sostegno psicologico alle madri allorché viene sospettata una malformazione fetale• <br />
Le questioni organizzative relative ai problemi di competenza, all'accesso alle conoscenze specialistiche e alla potenziale necessità di centralizzazione della diagnostica fetale richiedono ulteriori studi. Il precoce riconoscimento delle malformazioni fetali maggiori può offrire ai genitori l’opportunità di interrompere la gravidanza, ma non modifica i tassi di mortalità perinatale o di morbosità neonatale La riduzione di mortalità perinatale osservata in uno studio clinico controllato è da ascriversi all'aumento delle interruzioni di gravidanze per anomalie fetali diagnosticate. Non vi sono sufficienti studi, e i livelli di prova di efficacia sono insufficienti, per raccomandare o escludere l'indicazione ad una ecografia nel terzo trimestre di gravidanza (in assenza di fattori di rischio e di segni clinici di sospetto). <br />
Nei rapporti di Health Technology Assessment del Servizio sanitario britannico (NHS), due revisioni sistematiche, pubblicate rispettivamente nel 2000 e 2004, affrontano il tema dell' ecografia in gravidanza dal punto di vista delle donne [1,2]. <br />
Il documento più recente rileva l’eterogeneità dei questionari utilizzati negli studi e come manchino spesso dettagli sulla metodologia di lavoro (le modalità di reclutamento, la percentuale di adesione, le circostanze in cui è stato somministrato il questionario, l'epoca in cui è stato eseguita l'ecografia). Le popolazioni studiate sono per lo più costituite da donne con un grado di istruzione medio elevato (mancano studi su donne appartenenti a minoranze etniche, di giovane età o con grado di istruzione inferiore) e trattano nella maggior parte dei casi di gravidanze non complicate. Per completamento, sono stati quindi condotti quattro focus group coinvolgendo anche donne appartenenti ai gruppi meno rappresentati nella letteratura (in tutto 28 donne divise in teenager, donne in condizioni di basso reddito, donne di classe media abitanti in città, donne di classe media provenienti da ambienti rurali). Le conclusioni raccolte nei due documenti possono essere così sintetizzate: <br />
- la maggior parte delle donne e dei loro partners giudica favorevolmente l’ecografia ostetrica. Il giudizio positivo si basa su tre motivazione principali: 1. far conoscere il feto anche ad altri membri della famiglia; 2. avere la prova concreta dell’essere incinta; 3. acquisire informazioni sul benessere del feto. <br />
- dalla letteratura e dai focus group emerge che la visione del bambino viene giudicata dalle donne più importante di qualunque segno fisico o di qualsiasi affermazione verbale del sanitario per la conferma della gravidanza. Le stampe fotografiche dell'esame sono considerate importanti e le donne che non le ricevono riferiscono di sentirsi defraudate. Molte donne vorrebbero più ecografie rispetto a quelle effettivamente eseguite, ma nello stesso tempo un numero eccessivo di ecografie provocherebbe preoccupazioni sul decorso della gravidanza. <br />
- viene generalmente riportata una diminuzione dell'ansia dopo l'ecografia e il sentimento più spesso riferito dalle donne è di "rassicurazione". In uno studio controllato randomizzato condotto in Australia, le donne sottoposte ad ecografia al primo controllo prenatale sono risultate meno "preoccupate" o "non rilassate" nei confronti della gravidanza rispetto al gruppo di controllo, non sottoposto all'esame. La revisione più recente non ha potuto valutare se la riduzione dell’ansia materna registrata dopo l’esame ecografico sia circoscritta all’ansia generata e indotta dall’esame stesso, come ipotizzato nel documento precedente. Nei focus group si è inoltre sottolineato che la conoscenza della data presunta del parto e del sesso del bambino comporta vantaggi nell'organizzazione della vita pratica. <br />
- quasi tutti gli studi evidenziano nelle donne una marcata carenza di informazione su cosa ci si propone di ottenere con l’esame ecografico, cosa conseguentemente si ricerca, quali sono gli eventuali rischi associati e quali i limiti diagnostici. Molte donne riferiscono inoltre di non aver mai avuto l'opportunità di esprimere un consenso all'esame ecografico e, per questo, molte di loro pensano sia un esame obbligatorio. Non essendo un esame invasivo ed essendo entrato prepotentemente nella routine dell’assistenza ostetrica, indipendentemente dal grado di rischio della gravidanza, l’ecografia non viene percepita dagli operatori che la propongono come un esame su cui è utile fornire informazioni e per cui è bene ottenere un consenso informato. Le donne stesse, attratte come sono dal fascino dell’esame, sembrano essere impermeabili alle informazioni sulle reali motivazioni che inducono ad eseguire l’ecografia. Dai focus group è emerso che un eventuale consenso informato scritto, da firmare, aumenterebbe la preoccupazione dell'esame e ne diminuirebbe la connotazione positiva. <br />
- il sostanziale miglioramento qualitativo dell’imaging ultrasonografico permette di rilevare, con sempre maggiore frequenza, aspetti ecografici di significato clinico incerto: questo può avere conseguenze psicologiche e sociali rilevanti sulle donne. Gli studi sulla preparazione della donna ad affrontare eventuali problemi identificati dall'esame e sulla modalità di comunicazione degli stessi da parte degli operatori sono scarsi. Dalle poche ricerche condotte, quando all'esame ecografico di routine emerge la necessità di effettuare ulteriori accertamenti (quando cioè dallo screening si passa alla diagnosi), le donne si dimostrano impreparate a ricevere brutte notizie. Il termine "shock" è riportato unanimamente, le donne riferiscono di non essere in grado di assorbire l'informazione o di operare una scelta, qualora venga loro offerta una opzione. Un aspetto interessante, rilevato da più studi, è che in queste situazioni le donne si rivelano molto recettive alla comunicazione non verbale e spesso realizzano la possibilità di problemi già durante la procedura, dalla modalità con cui viene condotto l'esame. Le reazioni di rifiuto e delusione sono più frequenti tra le donne che non hanno ricevuto una corretta informazione sull’esame, che possono quindi reagire in maniera drammatica di fronte ad un esito negativo. Per contro, una donna male informata può sentirsi autorizzata a pensare che il proprio bimbo sia perfettamente sano se l’esame ha avuto un buon esito. <br />
- le donne non si dimostrano ben informate sulla misura della translucenza nucale come test di screening, ma nonostante le incertezze sulla comprensione dell'esame pensano che dovrebbe essere disponibile in modo esteso. <br />
A causa della invasività, delle possibili complicanze e del costo, l'amniocentesi e il prelievo dei villi coriali (chorionic villus sampling, CVS) vengono di solito riservate alle donne a più alto rischio di anomalie cromosomiche o malattie geniche. <br />
Le indicazioni all'esame sono dunque: <br />
età materna avanzata (>35 anni) <br />
precedente figlio affetto da anomalia cromosomica <br />
genitore portatore di riarrangiamento strutturale dei cromosomi (es. traslocazioni bilanciate) <br />
familiarità per malattie genetiche (a gene o localizzazione genica noti) <br />
diagnosi di sesso per malattia genetica legata al cromosoma X <br />
familiarità per malattie congenite del metabolismo <br />
anomalie strutturali del feto all'esame ecografico di routine <br />
test di screening per sindrome di Down positivo <br />
La sindrome di Down e le altre trisomie autosomiche sono causate da un difetto nella disgiunzione meiotica, la cui probabilità cresce con l'età materna. L'analisi del cariotipo fetale viene proposta alle donne a partire dai 35 anni di età perché in questa epoca della vita il rischio di trisomie aumenta rapidamente ed esiste un ragionevole equilibrio tra il rischio di aneuploidie (1/270) e quello di perdite fetali legate alla procedura stessa (1/200). <br />
In ogni caso, se anche tutte le donne di questa fascia di età si sottoponessero ad amniocentesi, si identificherebbe solo una piccola parte delle trisomie 21 (20-53%), visto che la maggior parte dei bambini affetti nasce da donne di età inferiore. I test di screening per la sindrome di Down possono fornire una stima individuale del rischio di trisomia 21 più accurata rispetto alla sola età materna. <br />
Test diagnostici invasivi per la diagnosi prenatale possono essere eseguiti in donne con epatite B o C, poiché non vi sono prove di un aumentato rischio di trasmissione dell'infezione al feto. <br />
In caso di infezione da HIV il rischio sembra invece aumentato, in particolare se la procedura viene eseguita nel terzo trimestre. Non vi sono stime del rischio in caso di procedura in epoca più precoce in donne in terapia antiretrovirale e con carica virale bassa. <br />
L'amniocentesi è una tecnica invasiva di diagnosi prenatale che si esegue nel secondo trimestre di gravidanza mediante l'introduzione per via addominale di un ago in cavità amniotica per il prelievo di 15-30 ml di liquido. <br />
Sul liquido amniotico e sulle cellule fetali prelevate possono essere effettuate: <br />
indagini citogenetiche per la diagnosi di anomalie cromosomiche e di sesso per le malattie legate al cromosoma X <br />
indagini biochimiche per la diagnosi di errori congeniti del metabolismo <br />
il dosaggio dell'alfa-fetoproteina per la diagnosi definitiva dei difetti del tubo neurale (attualmente la diagnosi si esegue con l'esame ecografico assieme alla determinazione del livello di alfa-fetoproteina sierica materna a 15-18 settimane di gestazione) <br />
analisi del DNA per la diagnosi delle malattie ereditarie monogeniche (per questo tipo di indagine si preferisce ricorrere al CVS poiché la quantità di liquido amniotico che occorre è piuttosto considerevole) <br />
In questi ultimi anni il contributo tecnico dell'ecografia nell'esecuzione dell'amniocentesi è diventato sempre più importante. Uno studio ecografico va eseguito prima dell'amniocentesi (per definire il numero e la vitalità dei feti, l'epoca gestazionale, la localizzazione della placenta, la determinazione del punto di infissione), ma soprattutto è raccomandata l'esecuzione dell'esame sotto guida ecografica continua. L'infissione dell'ago può essere effettuata a mano libera oppure attraverso un adattatore applicato alla sonda. <br />
In considerazione del maggior rischio di perdite fetali legato all'utilizzo di aghi più grossi (18-19 gauge), vi è stata in questi anni la tendenza all'uso di aghi sempre più sottili (23-25 gauge) che non solo ridurrebbero la sensazione dolorosa della puntura, ma sarebbero più sicuri in caso di attraversamento della placenta. L'aumentato tempo di aspirazione potrebbe però annullare questi vantaggi e attualmente si raccomanda l'uso di ago non più grosso di 20 gauge (0.9mm). <br />
Gli studi attuali non confermano l'ipotesi di un maggior rischio di perdite fetali in caso di attraversamento della placenta durante l'esecuzione dell'esame. Un approccio transplacentare potrebbe essere il più appropriato quando permette di raggiungere facilmente una tasca di liquido. L'orientamento attuale è quello di evitare se possibile il passaggio attraverso la placenta, avendo cura in caso contrario di evitare la zona di inserzione del cordone e di pungere la porzione più sottile. La linea guida del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) sull'amniocentesi sottolinea l'importanza della adeguata preparazione dell'operatore nel ridurre il rischio di complicanze. Un adeguato training e il mantenimento dell'esercizio della tecnica sono cruciali per il buon esito dell'esame. Il RCOG raccomanda un addestramento che prevede una precedente esperienza in campo ecografico, un apprendimento della tecnica su modello (ve ne sono disponibili in commercio) e quindi l'esecuzione sotto supervisione di almeno 30 amniocentesi con esito positivo. Secondo i dati della letteratura, il mantenimento delle capacità tecniche a livelli soddisfacenti richiede l'esecuzione di almeno 10 esami all'anno. Il professionista che non raggiunge questo obiettivo presenta un aumentato rischio di perdite fetali legate alla procedura. L'amniocentesi si esegue nel secondo trimestre, a 15-18 settimane di gestazione. A quest'epoca il volume di liquido amniotico nell'utero è di 150-250 ml ed una quantità di 15-30 ml può essere rimossa senza rischi eccessivi, risultando nello stesso tempo sufficiente per permettere la coltura cellulare. L'amniocentesi eseguita in epoca più precoce (amniocentesi del primo trimestre) è nata dal desiderio di ottenere una diagnosi genetica in una epoca gestazionale più precoce utilizzando una tecnica conosciuta, familiare e maggiormente disponibile rispetto al prelievo dei villi coriali. Ulteriori vantaggi sono inoltre una minor probabilità di contaminazione materna o di mosaicismo e la possibilità di dosare il livello di alfa-fetoproteina nel liquido amniotico per la diagnosi dei difetti del tubo neurale. In realtà, l'amniocentesi del primo trimestre è gravata da maggiori complicazioni quali: aumentate perdite fetali rispetto all'amniocentesi del secondo trimestre (7.6%versus 5.9%), con rischio relativo (RR) di 1.29 (intervallo di confidenza al 95%, IC: 1.03-1.61), maggior rischio di piede torto congenito rispetto alla villocentesi (1.8% versus 0.2%), con RR di 6.43 (IC: 1.68-24.64), oltre che perdita di liquido amniotico (3.5%) o fallimento colturale (2.2%) maggiori rispetto sia all'amniocentesi del secondo trimestre che al CVS. <br />
Il meccanismo per cui l'incidenza del piede torto congenito aumenti di dieci volte rispetto alla popolazione generale non è noto, ma un fattore importante sembra essere la perdita di liquido amniotico. Dal punto di vista strettamente anatomico, l'accollamento e la fusione di amnios e corion avviene a circa 14 settimane di gestazione, e l'esecuzione dell'amniocentesi prima della fusione di queste membrane comporta una maggiore probabilità di perdita di liquido amniotico. <br />
Per questi motivi l'esecuzione dell'amniocentesi è raccomandata ad almeno 14 settimane di gestazione e sconsigliata prima di tale epoca. <br />
Sanguinamenti vaginali, rottura delle membrane, corioamnionite e perdite fetali, che sono le più comuni complicazioni legate all'amniocentesi, avvengono anche nelle gravide che non si sottopongono all'esame; occorre perciò valutare il rischio addizionale determinato dalla procedura stessa. <br />
PERDITE FETALI <br />
Sono stati condotti molti studi prospettici per stabilire la sicurezza dell'amniocentesi del secondo trimestre, riportando sia percentuali di aborto spontaneo sovrapponibili alla popolazione di controllo, sia percentuali aumentate. I fattori che sono stati associati ad un aumentato rischio di perdite fetali sono diversi [ <br />
- le multiple (due o più) inserzioni dell'ago per il prelievo <br />
- l'utilizzo di aghi grossi (<19 gauge) <br />
- il prelievo di liquido amniotico ematico o di colore anomalo (non confermato in tutti gli studi) <br />
- il riscontro di alfa-fetoproteina sierica materna elevata prima dell'amniocentesi <br />
- fattori anamnestici materni (perdite ematiche durante l'attuale gravidanza, aborto ripetuto del primo trimestre, aborto nel secondo trimestre) <br />
La perforazione della placenta durante l'esecuzione dell'esame non aumenta il rischio di perdite fetali. L'orientamento attuale è quello di evitare se possibile il passaggio attraverso la placenta, avendo cura, in caso contrario, di evitare la zona di inserzione del cordone e di pungere la porzione più sottile [2]. <br />
Come risulta anche da una revisione Cochrane [3], l'unico studio controllato randomizzato che ha valutato le perdite fetali dopo esecuzione di amniocentesi è stato eseguito da Tabor et al in Danimarca ed ha coinvolto 4606 donne a basso rischio (<35 anni) [4]. In tale studio la percentuale di morti fetali si è mostrata superiore nel gruppo di donne sottoposte ad amniocentesi (1.7%) rispetto al gruppo di controllo (0.7%), con un rischio relativo (RR) di 2.3 per il primo gruppo. <br />
Una revisione sistematica del 2007 [5] ha preso in considerazione gli studi pubblicati dal 1995 sulle complicanze legate all'amniocentesi eseguita sotto guida ecografica tra 14 e 24 settimane di gravidanza. Nella revisione sono stati inclusi 29 studi, di cui solo 5 con gruppo di controllo (nessuno randomizzato). <br />
La percentuale di perdite fetali risultante dalla metanalisi degli studi è stata: <br />
- entro 14 giorni dall’esecuzione: 0.6% (intervallo di confidenza al 95%, IC: 0.5-0.7%) - entro la 24° settimana di gravidanza: 0.9% (IC: 0.6-1.3%) <br />
- totali: 1.9% (IC 1.4-2.5%) <br />
Dalla metanalisi degli studi controllati considerati separatamente si è ricavato: <br />
- perdite fetali nel secondo trimestre: 1.28% versus 0.64% del gruppo controllo <br />
- RR di perdite fetali totali 1.25 (IC: 1.02-1.53), entro la 28a settimana 1.46 (IC: 0.86-2.49) <br />
- differenza nel rischio assoluto (rischio aggiuntivo di perdite fetali): 0.6% <br />
Rimangono le perplessità legate ai bias dovuti all’assenza di randomizzazione e al fatto che in nessun studio l’epoca gestazionale era considerata un criterio discriminante, con la conseguenza che i gruppi di controllo potrebbero includere perdite fetali avvenute prima dell’epoca in cui si esegue abitualmente l’amniocentesi. <br />
In conclusione, sebbene il rischio esatto di morte fetale associato alla amniocentesi sia ancora controverso, la procedura non è completamente innocua e può comportare un rischio aggiuntivo di perdite fetali che nell’unico RCT condotto è stata stimata di circa 1%. Attualmente le tecniche a disposizione sono migliorate (guida ecografica continua, utilizzo di aghi più sottili da 20-22 gauge) e questa percentuale potrebbe essere al momento sovrastimata. Tutti i fattori associati al rischio aumentato dovrebbero, se possibile, essere evitati [2]. <br />
PERDITA DI LIQUIDO AMNIOTICO <br />
La perdita di liquido amniotico dopo amniocentesi del secondo trimestre avviene in 0.8-2% dei casi, con un rischio aggiuntivo di 1% e un RR di 3.9 (IC: 1.9-7.8) rispetto alle gravide non sottoposte ad esame [4]. <br />
Rispetto alle rotture spontanee delle membrane, quella dopo amniocentesi ha un decorso più benigno e la perdita di liquido si risolve in pochi giorni nella maggior parte dei casi. <br />
INFEZIONI O SANGUINAMENTI <br />
Le corion-amnioniti post-amniocentesi (0.5-1.5 ogni 1000 esami effettuati) avvengono per lo più a causa di contaminazione da parte della flora cutanea o intestinale, più raramente per via ascendente in caso di perdite di liquido amniotico prolungate. I segni iniziali possono essere sottovalutati (febbre non elevata, sintomi simil-influenzali), ma se ignorati possono condurre ad infezione severa e sepsi materna. <br />
La donna di recente sottoposta ad amniocentesi e che presenta una febbre di non chiara origine dovrebbe essere sottoposta di nuovo a prelievo di liquido amniotico per l'esame colturale. In caso di accertata infezione, non vi sono giustificazioni per ritardare l'interruzione della gravidanza e lo svuotamento della cavità uterina. <br />
Il sanguinamento vaginale si riscontra in 2-3% dei casi e si risolve quasi sempre spontaneamente. <br />
IMMUNIZZAZIONE RH <br />
L'amniocentesi può comportare un rischio di immunizzazione rhesus, vista la possibilità di emorragie transplacentari (2-3% dei casi). La profilassi con immunoglobuline anti-D è perciò consigliata in tutte le donne Rh negative non sensibilizzate che si sottopongono all'esame. <br />
Gli errori diagnostici possono avvenire per contaminazione da parte delle cellule materne (0.1-0.2%) o per la interpretazione errata di un mosaicismo. <br />
Si parla di mosaicismo quando sono presenti due o più linee cellulari con corredo cromosomico differente nello stesso individuo (se la linea cellulare con corredo cromosomico aberrante si ritrova in una sola coltura, può essere considerata un semplice artefatto colturale). La capacità di ottenere una rapida analisi del cariotipo fetale era possibile, fino a poco tempo fa, solamente con l'esame dei linfociti fetali ottenuto tramite cordonocentesi (48-72 ore). E' possibile oggi ottenere un'analisi rapida delle cellule del liquido amniotico attraverso la tecnica dell'ibridizzazione in situ (fluorescence in situ hybridization, FISH), senza attendere la coltura. Utilizzando sonde a DNA per i cromosomi X, Y, 13, 18, 21 possono essere identificate le più comuni aneuploidie in 24 ore, con risultati sovrapponibili al cariotipo standard ottenuto dalle cellule in coltura. Il prelievo dei villi coriali (chorionic villus sampling, CVS) è una tecnica invasiva eseguita a 10-12 settimane di gestazione che permette di ottenere un campione di tessuto trofoblastico per la diagnosi prenatale. <br />
Il CVS permette di effettuare: indagini citogenetiche per la diagnosi di anomalie cromosomiche e di sesso per le malattie legate al cromosoma X (con tecnica diretta oppure con coltura a breve o lungo termine) indagini biochimiche per la diagnosi di errori congeniti del metabolismo, mediante determinazioni enzimatiche dirette o dopo coltura. analisi del DNA per la diagnosi delle malattie ereditarie monogeniche di cui si conosce il sito del gene anomalo responsabile della malattia. Il CVS rappresenta la metodica di elezione per questo tipo di indagine ed il numero delle malattie oggi diagnosticabile è in continuo aumento, comprendendo fra le altre: talassemia, distrofia muscolare di Becker e di Duchenne, fibrosi cistica, emofilia A e B. Il prelievo dei villi coriali (chorionic villus sampling, CVS) può essere eseguito per via transcervicale o transaddominale. Il prelievo transaddominale è possibile sia a mano libera che in aspirazione e viene utilizzato un ago di 19-20 gauge sotto guida ecografica continua. Il prelievo transcervicale prevede l'utilizzo di un catetere in polietilene che viene introdotto attraverso la cervice fino alla porzione più spessa della placenta sotto guida ecografica continua. Un campione di 15-30 mg di tessuto trofoblastico (dal chorion frondosum che contiene le cellule a più alta attività mitotica) viene poi aspirato in una siringa da 20 ml contenente un apposito mezzo di coltura. Allo scopo di evitare complicanze infettive è fondamentale la sterilità e, per la tecnica transcervicale, l'utilizzo di un nuovo catetere ad ogni passaggio. Ambedue le tecniche si sono dimostrate egualmente efficaci e sicure, ma a volte sono le circostanze cliniche ad indirizzare la scelta. L'approccio transcervicale è controindicato in caso di infezioni vaginali o cerviciti (es. da N. gonorrhoeae, Chlamydia, Herpes) e relativamente controindicato in caso di sanguinamenti vaginali, polipi cervicali o fibromi che possono ostacolare il passaggio del catetere. L'approccio transaddominale è particolarmente indicato in caso di placenta anteriore o fundica in utero antiversoflesso, mentre quello transcervicale è preferibile in caso di placenta posteriore in utero retroversoflesso. <br />
Una revisione Cochrane ha confrontato la tecnica transvaginale con la transaddominale ritrovando 5 studi controllati randomizzati (RCT). Solo un trial riportava un maggior numero di perdite fetali per la tecnica transcervicale, ma il risultato non era confermato negli altri 4 RCT compresi nella revisione sistematica. Il CVS transcervicale può essere effettuata oltre che con la cannula da aspirazione anche con la micropinza da biopsia. <br />
Bibliografia
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